Da qualche tempo si sostiene che alle tariffe sui rifiuti non dovrebbe applicarsi l’iva. Attualmente, la tabella “A”, parte terza, allegata al DPR 26/10/1972 n. 633 (decreto istitutivo dell’imposta sul valore aggiunto – IVA -) al n. 127-sexiesdecies prevede che: “le prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, previste dall’articolo 6, comma 1, lettere d), l) e m), del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, di rifiuti urbani di cui all’articolo 7, comma 2, e di rifiuti speciali di cui all’articolo 7, comma 3, lettera g), del medesimo decreto, nonché prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione” sono assoggettate all’aliquota del 10%”.
La normativa nel tempo si è evoluta tant’è che inizialmente (alla data dell’istituzione dell’IVA e con l’entrata in funzione della riforma tributaria prevista dalla legge n. 825/71), dal 1973 fino al 1993, le prestazioni di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani erano esentate dall’IVA (vedi n. 17 dell’art. 10 del DPR n. 633/72 all’epoca vigente). Successivamente nel 1994 tali prestazioni sono state assoggettate all’aliquota iva del 4% (art. 4, comma 1 n. 7, decreto legge del 30/12/1993 n. 557) e negli anni seguenti all’aliquota attuale del 10% .
La proposizione di voler presentare la richiesta del rimborso dell’iva deriva dal fatto che la natura giuridica della tariffa (TIA – tariffa igiene ambientale) è quella tributaria secondo l’interpretazione della Corte di Cassazione (sentenza n. 17526/2007) e non quella extra-tributaria (o del corrispettivo dovuto in base ad un servizio reso).
La sentenza n. 17526/2007 della Suprema Corte di Cassazione afferma in maniera chiara che l’entrata è di natura tributaria nella considerazione del fatto che tale tassa è chiamata a coprire non solo costi riferibili a servizi individuali ma anche e soprattutto servizi indivisibili e rivolti alla collettività.
La Tariffa di Igiene Ambientale o TIA è il nuovo sistema di finanziamento comunale della gestione dei rifiuti e della pulizia degli spazi comuni introdotto in Italia dal decreto Ronchi e dovrà sostituire progressivamente la TARSU, la Tassa sui rifiuti solidi urbani.
Come dice il nome, la tariffa al contrario della tassa ha come obiettivo di far pagare esattamente agli utenti l’utilizzo del servizio (nel modo più preciso possibile).
La tariffa è divisa in due parti: la quota fissa che serve a coprire i costi di esercizio, come ad esempio, i costi di pulitura delle strade e gli investimenti in opere; e la quota variabile che dipende invece dai rifiuti prodotti dall’utente.
I costi di esercizio e degli investimenti in opere sono suddivisi fra tutti gli utenti in base a parametri fissi come la superficie occupata e i componenti del nucleo familiare per l’utenza domestica o il tipo di attività per le utenze non domestiche.
La determinazione della quota variabile è più complessa: il primo passo è determinare il costo totale dello smaltimento (per unità di peso) delle varie tipologie di rifiuti; poi si procederà a dividere i costi sulla base dei rifiuti prodotti da ciascuno.
A questo scopo esistono diversi metodi.
La tariffa puntuale consiste nel quantificare esattamente i rifiuti indifferenziati prodotti dalla singola utenza domestica. Ovviamente è anche il metodo più complicato ad attuarsi, ed è anche piuttosto costoso, perciò è applicato raramente (almeno in Italia: solo il 20% dei comuni).
La tariffa volumetrica viene considerata per il solo volume dei rifiuti valutato a seconda del numero di sacchi ritirati o del numero di svuotamenti dei contenitori.
La tariffa presuntiva consiste nello stabilire la suddivisione fra gli utenti dei costi variabili attraverso l’applicazione degli indici del D.P.R. 158/99, che sono dei coefficienti (calcolati con delle indagini statistiche sulla produzione di rifiuti) diversi per ogni categoria di utenza da moltiplicare alla superficie occupata. Tali indici possono essere perfezionati su base locale per renderli più precisi. In realtà, per tutte quelle utenze cui viene applicato il metodo presuntivo e con particolare riferimento alle piccole e medie imprese, la tariffa – come la tassa – è molto più simile a una tassa patrimoniale. A seconda del comune di residenza e della quantità di rifiuti conferiti la tariffa (patrimoniale) può essere esageratamente onerosa per alcune utenze allo stesso modo che decisamente economica per altre.
Il metodo indiretto, è una combinazione di puntuale e presuntivo perché consiste nel pesare la quantità dei diversi tipi di rifiuti prodotti in una certa zona per poi dividerli fra tutti gli utenti di quella zona secondo i consueti sistemi presuntivi.
Secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, espressa nelle R.M. 25/E del 5 febbraio 2003 e R.M. 250/E del 17 giugno 2008, la natura della TIA non è di carattere tributario, ma civilistico, in quanto si configura come un corrispettivo per il servizio di raccolta di rifiuti urbani, effettuato entro i confini della normativa di diritto civile. Pertanto, rivestendo la natura di servizio, l’Agenzia delle Entrate ha ravvisato anche l’assoggettabilità all’IVA.
Questa interpretazione non è stata, però, condivisa da parte della dottrina e della giurisprudenza (Sentenza n. 17526/2007 della Corte di Cassazione), che ne hanno ravvisato la natura tributaria.
La naturale conseguenza dell’interpretazione della Corte di Cassazione con la sentenza succitata è quella di dover escludere dal campo di applicazione dell’IVA la tariffa di igiene ambientale.
Al riguardo la Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, con sentenza n. 238/2009 pronunciata il 16 luglio 2009 e depositata il 24 luglio 2009, ha dichiarato al punto n. 7.2.3.6 che “un altro significativo elemento di analogia tra la TIA e la TARSU è costituito dal fatto che ambedue i prelievi sono estranei all’ambito di applicazione dell’IVA. Infatti, la rilevata inesistenza di un nesso diretto tra il servizio e l’entità del prelievo – quest’ultima commisurata, come si è visto, a mere presunzioni forfetarie di producibilità dei rifiuti interni e al costo complessivo dello smaltimento anche dei rifiuti esterni – porta ad escludere la sussistenza del rapporto sinallagmatico posto alla base dell’assoggettamento ad IVA ai sensi degli artt. 3 e 4 del D.P.R. n. 633 del 1972 e caratterizzato dal pagamento di un «corrispettivo» per la prestazione di servizi. Non esiste, del resto, una norma legislativa che espressamente assoggetti ad IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti, quale, ad esempio, è quella prevista dall’alinea e dalla lettera b) del quinto comma dell’art. 4 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, secondo cui, ai fini dell’IVA, «sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici», le attività di «erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore»”.
Al punto n. 8 della citata sentenza il Giudice delle Leggi afferma che “le sopra indicate caratteristiche strutturali e funzionali della TIA disciplinata dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 rendono evidente che tale prelievo presenta tutte le caratteristiche del tributo menzionate al punto 7.2.1. e che, pertanto, non è inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisce una mera variante della TARSU disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest’ultima.”
La summenzionata sentenza della Corte Costituzionale (n. 238/2009) conferma quanto sostenuto dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17526/2007, la quale afferma in maniera chiara che l’entrata è di natura tributaria nella considerazione del fatto che tale tassa è chiamata a coprire non solo costi riferibili a servizi individuali ma anche e soprattutto servizi indivisibili e rivolti alla collettività,
Pertanto coloro che volessero seguire la strada del rimborso dell’iva devono percorrere tutti i gradi di giudizio a partire dalla richiesta di rimborso (come da modulo allegato) e del ricorso da presentare entro 60 giorni dalla risposta oppure entro 90 giorni dalla data di notifica della richiesta di rimborso.
Per contro non è da escludere che il Legislatore intervenga per sanare il voluminoso contenzioso. In tal senso si nutrono forti dubbi che le somme trattenute negli anni a danno degli utenti, verranno rimborsate e purtroppo si teme che un intervento legislativo interverrà per tacitare le richieste di restituzione, a danno dei cittadini.
Scarica il modello per chiedere il rimborso nella Provincia di Verona Circolare_IVA_TIA_Rimborso